vieni a giocare con noi!

IL DATO E’ TRATTO!

🔺sabato 5 febbraio | ore 12🔺
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EMERGENZOPOLY.
Il dato è tratto.
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Il dato è stato controllato, mescolato, interpretato, trattato,
manipolato, manovrato, modificato; l’emergenza ormai é il gioco del
potere che ha svelato tutti i suoi trucchi. Venite in piazza a
giocare!!! Diciamo basta all’emergenza senza chiedere spiccioli per le
nostre libertà.

Chiediamo:
📌 Fine dello stato d’emergenza
📌 Stop del ricatto vaccinale
📌 Stop dei protocolli differenziati che discriminano i non vaccinati nelle scuole, nello sport ed in ogni ambito
📌 Reintegro dei lavoratori sospesi
📌 Dimissioni di De Luca

Non vogliamo più essere le pedine di un gioco impazzito…

SOLIDARIETA’ ALLE LAVORATRICI ED AI LAVORATORI SOSPESI

APPELLO ALLA SOLIDARIETÀ con le lavoratrici e i lavoratori che verranno sospesi dal servizio.

Oggi 15 dicembre, il Personale Scolastico e le Forze dell’Ordine di questo Stato rientrano nelle procedure già subite dal Personale sanitario e tra pochi giorni verranno sospesi se, per qualunque ragione, non ottemperano all’obbligo vaccinale.

Dopo aver già perso, a tempo indefinito, la possibilità di partecipare alla vita civile, come, ad esempio, poter fruire del patrimonio storico culturale e artistico, oggi vengono attaccati nel fondamento costituzionale della Cosa Pubblica: il lavoro. Salta agli occhi la non proporzionalità tra il “reato” e la pena, pur senza tirare in ballo le legittime e necessarie valutazioni dell’efficacia e sostenibilità delle misure adottate.

Intere vite escluse e reiette, per non volere o potere rispondere col proprio corpo, unico e differente, ad una condizione estremamente pervasiva e standardizzata.

Questa violenza si regge sullo stato emergenziale: un neonato leviatano amministrativo, che opera in barba a consuetudini normate e consolidate di bilanciamento di diritti e poteri, ci richiama alla mente fantasmi totalitari e visioni prospettiche di sussunzione totale delle vite nell’ingranaggio.

Oggi la Decisione è la totale preponderanza di una forma particolare di tutela della salute pubblica, senza per questo sanare le lacune storiche e presenti della sanità, né le storture e le contraddizioni delle decisioni emergenziali.

La strategia, ormai ricorrente, è messa a punto: i costi e le responsabilità vengono scaricate sugli ultimi anelli della catena: privati i servizi, private le responsabilità.

Oggi non ci sentiamo assolti solo perché a pagare sono pochi, alcuni di noi: condividiamo la loro sventura e chiamiamo noi stessi e quelli a noi vicini a portare solidarietà morale e materiale alle lavoratrici e ai lavoratori che da oggi non lavoreranno più per la collettività, ma che useranno le loro forze a difendersi da queste misere leggi di stato.
Sabato 18 dicembre, stazione campi flegrei, ore 16 corteo verso sede Rai, via Marconi

Nessun permesso per circolare, nessun ricatto per lavorare.

Usciamo dagli schermi ha aderito allo sciopero generale dell’11 ottobre indetto dai sindacati di base. Abbiamo sfilato con migliaia di compagni in corteo dalla stazione a Confindustria. Pur essendo noi un collettivo nato per difendere principalmente il diritto dei nostri figli allo studio e ad una socialità non surrogata, abbiamo sempre ritenuto che l’attacco alla scuola fosse parte di un piano organico di riorganizzazione della società. In più molte di noi vengono da storie di attivismo politico, di impegno sociale, di antagonismo…. 

Tra di noi vi sono molte docenti che toccano con mano fin da settembre cosa significa essere controllate per poter accedere al proprio luogo di lavoro, un’esperienza che dal 15 dovranno affrontare tutti i lavoratori. 
L’obbligatorietà del lasciapassare a scuola, luogo in cui le norme di prevenzione sono più rigide che altrove, oltre ad essere un ricatto scarica sui lavoratori l’assenza di interventi che la scuola necessita da molto prima del Covid-19: risorse per far funzionare ed ampliare gli spazi, assunzioni, riduzione del numero di alunni per classe…

Dunque abbiamo dimostrato in piazza la nostra opposizione alla gestione autoritaria della sindemia, abbiamo sostenuto la richiesta di giustizia dei lavoratori, contro la strage continua sui luoghi di lavoro….

Due cose ci sembrano emerse chiaramente:
    1 – Il corteo era di protesta contro il governo, contro Confindustria e contro i SINDACATI CONFEDERALI, CGIL compresa. Il sindacato pochi giorni fa è stato bersaglio di un’odiosa aggressione fascista (favorita dalla “distrazione” delle forze dell’ordine), ma non possiamo ritenerlo rappresentativo degli interessi dei lavoratori che ha contribuito a precarizzare e umiliare, e che continua a vessare: puntando ad un obbligo vaccinale che in migliaia rifiutano, firmando patti per il depotenziamento dello sciopero, tentando di delegittimare i sindacati di base. Queste le critiche rivolte ai vertici dell’organizzazione, di cui pur riconosciamo il ruolo storico ricoperto nell’ultimo secolo, nel totale rispetto dei suoi iscritti.
    2 – L’OPPOSIZIONE AL GREEN PASS E ALL’OBBLIGO VACCINALE E’ UN TEMA SOCIALE.
Finalmente abbiamo potuto esprimere, senza l’ambiguità dell “antipolitica”, tutta la nostra rabbia nei confronti del green pass: mezzo di controllo coercitivo, invasivo, discriminatorio e lesivo della dignità personale, che nulla ha a che fare con la prevenzione e la salute. Il green pass, così come tutta la gestione paternalista e autoritaria della pandemia, alimenta l’odio sociale. Questo merita attenzione: sappiamo che è un tema che divide il variegato mondo della sinistra, dominato dallo spavento, della pandemia prima, dei rigurgiti fascisti ora. La rabbia ha le sue ragioni legittime, ma può essere facilmente strumentalizzata. In assenza di un’opposizione sociale forte, questa è un’occasione ghiotta per gruppuscoli marginali di estrema destra di intestarsi la battaglia e canalizzare la frustrazione in odio tra i pari, o verso gli ultimi.
Speriamo che lo sciopero di ieri ci infonda coraggio: possiamo sempre lottare per una vita migliore, a cominciare dall’autodeterminazione e dalla solidarietà. Nessun passo indietro su scuola e sanità pubblica, sulla dignità del lavoro, sulla libertà di espressione, di parola, di associazione, di partecipazione alla vita politica e culturale. 

Cittadinanza sanitaria. Scienza, potere, diritti

Nel pomeriggio dell’11 settembre scorso ci siamo incontrati per uno scambio di idee, esperienze, pratiche e progettualità sul tema “Cittadinanza sanitaria. Scienza, potere, diritti”. Ci siamo ritrovati in un centinaio per condividere coordinate utili a questo presente che comprendiamo con difficoltà, in cui sentiamo forte la lacerazione del tessuto sociale e altrettanto forte il bisogno di ritessere relazioni sulla base di rinnovate affinità. Ci siamo scoperti accomunati dall’insofferenza per la pervasività di un sistema dai mille imperativi, proibizioni e prescrizioni, ma i cui fini ci sfuggono.

Punto di partenza per la nostra riflessione è stata la denuncia di un limite comune, cortocircuito inevitabile: non riusciamo a scalfire il muro del significante unico, su cui si infrange ogni discorso: esiste un’unica malattia, il covid; esiste un’unica soluzione, il rischio zero; esiste un’unica dimensione dell’umano, la salute in senso ristretto; esiste un’unica funzione dello stato e della società, la protezione dal covid. È come se, nonostante gli sforzi di riaprire il pensiero ad una complessità di contesto, ad altre priorità di significato, una forza centripeta ci riconducesse sempre là, anche nella critica: al covid come unica malattia degna dello stupore di un’apocalisse e dunque, in fondo, indiscutibile.

Questo incontro ha avuto come obiettivo quello di mettere in rete riflessioni spurie e alimentare la nostra capacità immaginativa, proprio a partire da questa comune debolezza – il non poter fare a meno di parlare di covid – ma tentando di farlo innanzitutto considerandolo come un evento storico e dunque mettendolo in relazione con le diverse forze e dimensioni del divenire, quelle della conoscenza, del potere, delle lotte.

In quest’ottica abbiamo letto la pandemia come punto terminale di un ventennio che ci riporta direttamente al 2001, ai giorni di quel luglio a Genova, agli attentati dell’11 settembre. É infatti allora che venne meno la possibilità di rivendicare ed immaginare “un altro mondo possibile”,  non fu più ammesso alcun conflitto di fronte all’unico nemico “esterno/interno”: il terrorismo, indefinito e continuamente ridefinibile, che attacca i valori della civiltà occidentale. È stato all’indomani dell’11 settembre che il valore della sicurezza è diventato avamposto capillarizzato del potere, a discapito delle libertà, in particolare quella di movimento e quella di aggregazione: da quel momento in poi furono bloccati i grandi flussi migratori, inventato il reato di clandestinità, costruiti muri, lasciate le persone affogare. La cura peggiore del male.

Intanto, mentre la civiltà occidentale si autopercepiva come fortezza assediata, via via le periferie dell’impero entravano nell’orbita di altri imperi economici. A distanza si vede che l’equilibrio mondiale è cambiato: gli Stati Uniti non sono più i gendarmi del mondo, né l’economia trainante. Per il capitalismo occidentale la scommessa di ristrutturazione capitalistica passa per l’investimento nel virtuale, ma è anche la condizione di possibilità di rinforzare il controllo e la sicurezza di frontiere sempre più strette. Il lockdown, la dad, le piattaforme per il mercato, il green pass non sarebbero stati possibili senza le infrastrutture già esistenti e senza i promessi investimenti. Il digital (green) New Deal ci pare sia la sussunzione ulteriore di ogni spazio-tempo e di ogni attività umana.

Nell’arco di questi vent’anni un “altro mondo” sembrava diventato impossibile, segno di questa impossibilità è che perfino le parole del “movimento dei movimenti” sono oggi completamente sparite, estromesse dal discorso. Nel frattempo però noi, sconfitti di allora, stavamo quantomeno provando a immaginare e disegnare “altre” vite e relazioni, piccole comunità, lotte locali. Siamo oggi davanti alla fine di “altre vite possibili”? Questa è forse una triste suggestione, ma ci viene suggerita dall’ordine del discorso, un discorso mutuato senza soluzioni di continuità dalla guerra al terrorismo (la sicurezza come unico valore, la guerra preventiva e la tolleranza zero) alla guerra al virus (che attacca la vita occidentale, senza la quale non possono esistere i valori occidentali). Senza questa retorica ricorsiva, avremmo potuto vivere da vent’anni in una perenne emergenza e in una progressiva erosione della politica?!

ORGANIZZATORI

Usciamo dagli sche®mi è il nome collettivo che abbiamo scelto per rivendicare il diritto ad una vita degna, una vita distante dal suo surrogato – l’esistenza virtuale – e che invoca uno spazio pubblico e un tempo legittimo. Abbiamo lottato assieme per la riapertura delle scuole in Campania (e non solo!), per l’agibilità di spazi pubblici, per la mobilità sostenibile. Nei mesi in cui il confinamento delle zone rosse impediva ad adulti e bambini ogni socialità, Santafede Liberata ci ha ospitati in diverse occasioni.

Gli abitanti di Santafede fanno sì che questo spazio ricrei la fisionomia comunitaria di una piazza, luogo di incontro della realtà resistente alla turistificazione e dalla gentrificazione.

Di seguito, interventi e tracce audio dei relatori.

Apre Michele Ravagnolo sul tema della costruzione della verità. Definire la realtà è in sé un atto politico, ma in questo contesto pandemico è un atto che avviene unidirezionalmente e dall’alto, tanto che, come ci racconta Sara Gandini, è sottratto anche alla comunità scientifica, dal momento che il dubbio è fortemente sconsigliato. Tuttavia, se sono sospese le costruzioni politiche condivise, ci sono invece processi che stanno accelerando, tra questi la distruzione del welfare. A questo proposito Salvatore D’Acunto affronterà il tema, tanto retoricamente utilizzato, del guadagnarsi l’assistenza sanitaria. L’intervento finale di Toriello chiude il cerchio riportando il concetto di salute in una prospettiva sistemica, il che pensavamo fosse divenuto patrimonio collettivo, ma sembra ora perso per i più.

Segue una ricostruzione dell’ampio e partecipato dibattito.

Infine, due contributi EXTRA di ospiti previsti a distanza, ma che, per problemi tecnici, non ci sono stati. Ilaria Durigon sull’impossibilità di agire pensando in tempi di emergenza  e Giovanni Iozzoli sul conflitto capitale-lavoro in tempo di pandemia.

INTERVENTI

M. Ravagnolo – La verità è democratica. Spazi pubblici condivisi e dispositivi di potere.

 

S. Gandini – Quando gli scienziati vanno alla guerra (pdf)

S. D’Acunto – Chi è causa del suo mal si paghi le cure (pdf)

 

A. Toriello – Dove osano gli angeli. Una visione sistemica della salute.

 

DIBATTITO (pdf)

EXTRA:
I. Durigon – Vite passive (pdf)

G. Iozzoli – Obbligo vaccinale e obbligo padronale (pdf)

Testo alternativo

CITTADINANZA SANITARIA – Scienza, potere, diritti

La traiettoria securitaria già intrapresa dai governi occidentali vent’anni fa contro il terrorismo conosce oggi un’estensione e una profondità nella lotta contro il virus, ricavando un’inedita adesione da parte delle popolazioni. La gestione pandemica infatti fa leva su una scienza trasformata in religione, sul controllo e sulla sorveglianza delle vite, sulla paura alimentata da una propaganda mediatica dai toni bellici.
Ci sono però anche spiragli di resistenza, movimenti spuri non facilmente collocabili nel contesto ideologico dell’opposizione destra/sinistra, piazze difficilmente leggibili e attraversabili con lo strumentario della militanza classica. Questo incontro nasce dalla necessità di creare relazioni tra chi desidera allenare il senso critico ed elaborare pratiche individuali e collettive di resistenza e di lotta.

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ORE 15.30
Usciamo dagli sche®mi: Introduzione

ORE 16.00
Michele Ravagnolo (Rete campi aperti – Bologna):  “La verità è democratica. Spazi pubblici condivisi e dispositivi di potere”;
Sara Gandini (Università statale di Milano): “Quando gli scienziati vanno alla guerra”;
Ilaria Durigon (Libreria Lìbrati – Padova): “Vita passiva: la libertà nell’epoca delle emergenze”.

ORE 17.00 – Dibattito.

ORE 18.00
Giovanni Iozzoli (Delegato sindacale) “Obbligo vaccinale e obbligo padronale, tra fabbrica e società”;
Salvatore D’Acunto (Università degli studi della Campania): “Obiezione vaccinale, esternalità negative e diritto all’assistenza sanitaria”;
Alfredo Toriello (Psicoterapeuta sistemico relazionale): “Dove osano gli angeli. Una visione sistemica della salute”.

ORE 19.00 – Dibattito.

ORE 20.30 – Cena sociale.

Restare a casa

La pandemia è stata gestita in Italia principalmente secondo l’imperativo moraleindividuale del “restare a casa”. Un sistema di protezione innanzitutto inapplicabileper tutti: molti dovevano comunque uscire per guadagnarsi da vivere e permettere achi restava a casa di ricevere merci, servizi. Il confinamento domestico risulta ancheessere un sistema di protezione limitato, in quanto risulta efficace solo in rapporto alcontagio, mentre non tiene conto dello stato di salute generale che può risultarecompromesso da un prolungato periodo di segregazione e sedentarietà. Inoltre risultaparadossale perché vorrebbe fare salva la vita oltrepassandola (“sopravvivenza”)senza che questo ‘passare oltre’ abbia un termine, l’oltre viene continuamentedifferito. Restare a casa è anche paradossale perché fa leva sulla responsabilità versogli altri proprio allontanandoli dalle nostre vite.Ma come si è arrivati alla obbligazione morale individuale come unica strategia perfronteggiare il virus?Perché oggi lo Stato – dopo decenni di smantellamento del welfare – non garantiscepiù la cura e la protezione della vita. Su cosa fonda allora il suo potere? Su di un’eticaimprenditoriale in cui l’impresa è il soggetto e il cui primo comandamento è ilselfhelp: salvati da solo! La razionalità neoliberale ha operato il progressivotrasferimento sul piano individuale del rischio. Ciascuno deve essere imprenditore disé stesso. Il rischio individuale viene progressivamente gestito non più dallo Stato,quanto dalle imprese o dalle condotte individuali. Tuttavia lo Stato, pur non assumendosi il costo e la responsabilità, continua adecidere quale sia il rischio portando inoltre il livello della decisione ad un obiettivoirragiungibile: il rischio 0, pura illusione. La privazione risulta dunque l’ unicaingiunzione possibile per inseguire la chimera del rischio 0, chimera facilmenterecepita da un “neo-soggetto” provato e affaticato dalla “prestazionalità” e affetto datempo da demoralizzazione, depressione, desimbolizzazione.

Finché Caligola è vivo

Finché Caligola è vivo,
io sono alla completa mercé del caso e dell’assurdo”
(A. Camus, “Caligola”)

Le raccomandazioni scriteriate non coprono l’arbitrio, quello che docenti, dirigenti scolastici, alunni e famiglie si troveranno a dover fronteggiare dalla settimana prossima.

A pochi giorni infatti dalla riapertura delle secondarie di secondo grado – già in colpevole ritardo rispetto al resto del paese e all’Europa -, il governatore De Luca, Caligola nostrano, emana un “atto di richiamo”. Con spirito paternalistico delegittima di fatto le indicazioni del governo nazionale, nonchè le capacità politiche e gestionali dei suoi cittadini, in una raccomandazione in vari punti:

1) gioco al ribasso, rientro al 50% (e giammai al 75% come il dpcm permette). Un 50% che ritiene relativo a singole classi, senza alcun criterio numerico di massima né rapporto alla metratura.

2) possibilità per i genitori di optare per la didattica a distanza. Aprire la scuola all’opzione del singolo è quanto mai pericoloso: se la scuola è spazio eminentemente pubblico, non si può delegare alle perplessità e alle paure di ciascuno la decisione relativa alla sua fruizione.

3) gli ingressi degli alunni non scaglionati, in favore del punto 1 – in barba alle indicazioni del Ministero degli Interni del 23/12 a cui hanno fatto seguito diversi tavoli in Prefettura a cui hanno partecipato anche componenti dell’assessorato regionale.

L’idea che si possano scompaginare le organizzazioni fatte da tempo e secondo criteri, l’idea che fino all’ultimo istante – a fronte di circostanze non mutate – si possano sparigliare le carte, è figlia del peggior autoritarismo.

Sono sintomi di abusi di un potere che però così facendo rivela le sue fondamenta traballanti: abbiamo di fronte un rappresentante politico che fuori dai denti di fatto raccomanda di non credere agli sforzi dello Stato che egli stesso rappresenta e finanche ai propri stessi sforzi (ammesso che ci siano stati). Questo potere che usa la paura, ma che ha paura a sua volta, dimostra di non avere legittimità alcuna.

Rispediamo al mittente le sue raccomandazioni e chiediamo le dimissioni immediate del governatore della Campania.